Venticinque scie luminose brillano nella quiete apparente della notte. Venticinque strati estremi
dell’esistenza risalgono lentamente in superficie e mostrano il loro sporgersi altrove, violento e
suburbano. (…) Paolo Battista si assume qui il compito di antico oratore, rapper shakespeariano di un graffitismo verbale dove le parole/ immagini fanno saltare a tratti il ritmico altalenare del respiro. Fa sue le parole del console Marco Antonio: “Amici, Romani, compatrioti…”, la toga macchiata del sangue, si rivolge a un Senato plebaico ripetendo ancora una volta la celebre orazione funebre.
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