La palude è una realtà desolata e desolante in cui l’Uomo è ridotto a relitto. Non c’è scelta per quelli della palude, solamente sperare e sognare la balera. Un luogo del quale si parla bene e si parla male. Interviene lo sceneggiatore Giuseppe Furno sceneggiatore. Lettura teatralizzata di Mario Palmieri.
Incipit
L’uomo scavalca un paio di buche fonde. Una sedia estiva. La sedia è sfondata. Perde i fili, alcuni sono bruciati. Ha un appuntamento, oppure cerca qualcuno. Stringe un tubetto per l’asma che ogni tanto si porta alla bocca. Non si guarda intorno sospettoso, come sarebbe da prassi. Vede il ragazzo. Allunga il passo superando una ciabatta abbandonata. C’è una crosta, antica di sangue, sulla ciabatta. Il ragazzo, spalle all’albero, testa affossata nel cappuccio, lui sì, da prassi, consegna un involto. Parla con voce lenta, le mani muovono gesti veloci: “Quello che faccio è arrotondare. Che non ti puoi permettere niente se non arrotondi. Neanche un topo. Neanche uno straccio di momento di relax per sopravvivere.” Forse lo dice all’uomo. Forse a se stesso. Forse sono parole rivolte all’ambiente intorno: alla palude. Il loro dove. Qua si rinchiudono stracci d’umanità. La palude sta qui per questo.
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