“Giardino di rovine” fa parte di un’opera maggiore, una sorta di anti omaggio al grande Lewis Carroll, alle favole classiche di Esopo, alle storie dei fratelli Grimm, a Charles Perrault e all’indimenticabile Antoine di Saint-Exupéry. Ma richiama anche al periodo della dittatura latinoamericana, con tutta la sua eredità irreparabile. Un paese degli incubi. I personaggi che sfilano in queste pagine vivono in un immaginario che solo essi conoscono, come se l’infanzia occupasse una realtà parallela, dove l’insolito, l’assurdo, l’inaspettato si dessero appuntamento per dialogare in una lingua irripetibile. Qui la morte costruisce e profila la sua identità attraverso quell’infanzia perduta. Gli esseri che l’abitano sono portavoce di un mondo desolato, dove ogni cosa ci rivela la propria irrealtà. In questo libro, la memoria è un fantasma che passeggia tra orologi soffici e giocattoli che ritornano nell’aldilà con le ginocchia rotte.
Ne parla Plinio Perilli.
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